La violenza perpetrata tra le mura domestiche balza in prima pagina soltanto quando determina conseguenze di gravità tale da non poter essere taciuta. Quando sentiamo parlare di donne picchiate a sangue o uccise dai loro partners abbiamo la tendenza a considerare questi episodi isolati e rari, conseguenza di un grave disturbo psichico di colui che commette il reato. Tuttavia il fenomeno della violenza nelle relazioni intime rappresenta un’emergenza drammatica in tutti i paesi del mondo, sia pure in forme e proporzioni differenti e nonostante le politiche di contrasto messe in atto dai diversi governi.Questa forma di violenza, le cui vittime sono nella maggior parte dei casi donne e bambini, consiste in una serie continua di maltrattamenti fisici, sessuali e psicologici agiti all’interno di una relazione da uno dei partner ai danni dell’altro con lo scopo di ottenere e mantenere una posizione di potere e controllo e rappresenta una delle principale cause di decessi o di invalidità, alla pari del cancro, degli incidenti stradali e della guerra.
“Esausta per lo stress costante, lei di solito si ritira dal violento, temendo che possa inavvertitamente far partire l’esplosione. Lui comincia a muoversi in un modo più opprimente verso di lei, mentre osserva il suo ritiro. La tensione tra i due diventa insopportabile” (Walker, 1979).
La tensione cresce e si passa alla fase due, acuta e più violenta, dove le aggressioni fisiche, sessuali e psicologiche diventano più severe. La rabbia diventa incontrollabile e scatena un’aggressione violenta che dura finché l’uomo diviene “esausto ed emotivamente svuotato” (Walker, 1979), solitamente nell’arco delle ventiquattro ore. Questa è il momento più pericoloso in cui la donna può rimanere gravemente ferita o uccisa e psicologicamente scossa. E’ anche il momento in cui, generalmente, le donne entrano in contatto con i Centri Antiviolenza mediante gli sportelli di codice rosa operativi all’interno del pronto soccorso o richiedono l’intervento delle forze dell’ordine. Dopo avere sfogato la rabbia attraverso l’aggressione, la tensione viene allentata e inizia la terza fase, quella in cui l’aggressore “chiede perdono”, promettendo di cambiare e che quanto accaduto non succederà più. In questa fase di profondo autoinganno, molte donne ritirano la querela o la richiesta di separazione, possono abbandonare il centro antiviolenza per tornare nella casa coniugale, tendono a perdonare o minimizzano le violenze subite e difendono il partner, sentendosi responsabili per averlo provocato. In questa fase, l’aiuto esterno ha la minima probabilità di efficacia. Tuttavia, per la donna che torna nella relazione, il comportamento amorevole e dispiaciuto dell’uomo svanirà gradualmente, e il ciclo della violenza ricomincia spesso con maggiore durezza di prima. Il maltrattamento domestico rappresenta una vera e propria situazione traumatica: di fronte ad una situazione di pericolo la vittima vive un vissuto di impotenza e terrore tali non riuscire ad attivare le normali reazioni di allerta, paura, rabbia, resistenza o fuga di fronte all’evento stesso.
Il trauma altera le normali capacità di adattamento alla vita compromettendo i sistemi di difesa, il senso di sicurezza e di controllo.
Spesso le donne credono che la violenza di cui sono vittime avvenga per colpa loro, sono incapaci di attribuire al partner la responsabilità del suo comportamento violento, temono profondamente per la propria vita e/o per quella dei propri figli, spesso credono in modo irrazionale che l’abusante sia onnipresente e onnisciente. L’impotenza sperimentata e introiettata attraverso ripetuti episodi traumatici porta la donna a distorcere la realtà e a pensare che le proprie azioni possono gestire efficacemente la situazione. Viene quindi a mancare la consapevolezza e la spinta a rispondere con la fuga ai maltrattamenti subiti sostituita dall’intenzionalità, ingannevole, di voler mantenere intatta la relazione. La donna vittima di violenza è impossibilitata nell’atto della fuga, è impotente di fronte al pericolo che invade la sua persona e la destabilizza completamente nella mente e nel corpo. E’ importante che le donne che subiscono violenza vengano aiutate, attraverso interventi multidisciplinari e integrati, a riconoscere e ad attribuire l’esatto significato a tutti quei comportamenti che troppo spesso sono considerati normale espressione di amore per la famiglia, fino a diventare consapevoli dei propri diritti e delle ingiustizie subite.
Dott.ssa Federica Manucci - Psicologa, Psicoterapeuta